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Integrazione verticale ed evoluzione del settore dello shipping

  
Olaf Merk Olaf Merk è un analista ed esperto di porti e shipping presso l’ITF - International Transport Forum dell’OCSE - Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico.

Olaf Merk condivide con Edward Ion alcune riflessioni sui temi caldi dello shipping: integrazione verticale, BER (Block Exemption Regulation – Regolamento di Esenzione) e le prospettive di sviluppo del settore logistico e del trasporto.

 

C’è una crescente preoccupazione per l’integrazione verticale perseguita dalle shipping line globali: qual è (se esiste) il limite di questo processo verso l’integrazione dei servizi offerti?

Al momento non sembra esserci un limite a questo trend nella maggior parte dei Paesi. Al contrario, così come abbiamo dimostrato nel nostro Report sui sussidi nel settore marittimo, la politica dell’Unione Europea in realtà incentiva l’integrazione verticale degli operatori.

 

Condivide la posizione della Commissione Europea sul BER (Consortia Block Exemption Regulation)? Chi trae i maggiori benefici dalla decisione di mantenere l’attuale esenzione BER?

Non abbiamo nascosto la nostra opinione sul meccanismo di esenzione BER dell’Unione Europea: abbiamo scritto ben due report su questo tema! Sintetizzando la nostra posizione, possiamo affermare che crediamo che questa esenzione non sia necessaria, che crei confusione dal punto di vista legale e che generi dei vantaggi per le compagnie marittime, a spese dei caricatori e dei ricevitori, dei porti, dei fornitori di servizi portuali, e degli aggregatori della domanda (come i freight forwarders). I soggetti sui quali ricadranno le maggiori conseguenze negative dipendono dalle circostanze. In alcuni Paesi sono i porti che subiranno il potere di mercato delle linee derivanti dagli accordi di cooperazione, in altri Paesi saranno i forwarders, i caricatori e i ricevitori.

 

Quali crede che siano le principali sfide che attendono l’industria dello shipping?

Il principale problema è rappresentato dal fatto che i diversi comparti del settore possano ridurre i propri costi scaricandoli su altri segmenti della supply chain, sul settore pubblico e sui cittadini. In questo modo, ad esempio, abbiamo noli marittimi molti bassi, che però non tengono conto dell’inquinamento, del contributo al cambiamento climatico, dei costi di sviluppo delle infrastrutture, dell’elusione fiscale, delle condizioni del lavoro nei cantieri di demolizione delle navi e così via. La sfida principale è riuscire ad integrare questi elementi nel prezzo dei noli marittimi; come direbbero gli economisti “internalizzare le esternalità”.

 

Nel settore della logistica, le compagnie faticano ancora a riconoscere il valore del trasporto intermodale e di una logistica sostenibile, a causa della limitata consapevolezza dell’impatto ambientale del trasporto camionistico. Vede una possibilità di puntare sulla sostenibilità come elemento centrale di una strategia di differenziazione?

Sì, credo che esista un mercato per prodotti caratterizzati da una catena di trasporto carbon-neutral. Perché questo accada, però, è necessario che emerga uno standard di certificazione in grado di diffondersi ed essere riconosciuto in maniera diffusa e, chiaramente, una mobilitazione dei consumatori responsabili.