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COVID-19: impatto sulla supply chain globale e sugli scambi Cina-UE

  
Beard Il Dott. Jonathan Beard è Infrastructure Advisory Partner presso EY, di base a Hong Kong. Un veterano con più di 20 anni di esperienza nel settore, le sue competenze comprendono piani generali strategici, studi di fattibilità, progetti nazionali, fusioni e acquisizioni, PPP, concorrenza e regolamentazione. Jonathan ha fornito consulenza su politiche di trasporto e relativo sviluppo infrastrutturale in oltre 25 Paesi e ha diretto i piani generali di alcuni dei porti più grandi e di successo del mondo. Jonathan ha conseguito la laurea, un Master e un Dottorato all’Università di Cambridge ed è un Consulente Gestionale Certificato, un ex Presidente dell’Hong Kong Institute of Management Consultants e Direttore dell’Hong Kong Management Consultancies Association.

Con il Dott. Beard abbiamo discusso degli effetti del COVID-19 sulla supply chain e sul trasporto ferroviario intercontinentale, di scambi Cina-Europa e di reshoring. L'intervista è divisa in due parti, qui puoi leggere la seconda parte.

 

L'emergenza COVID-19 ha avuto un impatto sulle catene di approvvigionamento di tutto il mondo. Come vede questo cambiamento in termini di commercio marittimo e collegamenti ferroviari per il trasporto merci? In particolare cosa può dirci dell’impatto sulle rotte tra Cina ed Europa?

Ritengo che si debba distinguere tra cambiamenti ciclici e cambiamenti strutturali causati dal COVID-19, ma è troppo presto per dirlo con certezza, perché gli effetti del virus si stanno ancora manifestando. Gli sforzi che la Cina sta compiendo per sviluppare i mercati del trasporto merci su rotaia sono significativi.

Ciò nonostante, uno dei problemi attuali è la frammentazione del mercato. In Cina, abbiamo da cinque a sei grandi poli intermodali, e tutti cercano di trovare volumi. Secondariamente, a causa di sussidi relativamente elevati e obiettivi di produttività "su misura", le decisioni di instradamento tendono a non essere ancora guidate esclusivamente da forze di mercato o dall'efficienza operativa.

Il mercato ha bisogno di operare senza la pesante distorsione introdotta dai sussidi, puntando sulle grandi opportunità di consolidamento e sulle economie di scala. Il trasporto merci su rotaia non è necessariamente un sostituto diretto rispetto al collegamento marittimo Cina-Europa, ma un'opzione alternativa, che potrebbe rivelarsi competitiva per determinate merci e trades.

È vantaggioso per la Cina sviluppare il trasporto merci su rotaia perché esso offre una possibilità di scelta aggiuntiva (e quindi una certa diversificazione della rete logistica cinese), portando una maggiore resilienza, visibilità e sostenibilità ambientale.

 

Oltre al trasporto merci ferroviario, la crisi COVID-19 sta anche rimodellando il commercio internazionale. In che modo avrà un impatto sul commercio tra Cina ed Europa? Questo impatto sarà inevitabile?

Al momento stiamo discutendo i fenomeni del near-shoring/reshoring, dovuti all’interruzione delle catene di approvvigionamento causata dal COVID-19 e alla guerra commerciale in corso tra gli Stati Uniti e la Repubblica Popolare Cinese.

L’argomentazione contraria sostiene che non solo la scala della produzione cinese sia impossibile da replicare, ma che anche la sua qualità sia in costante crescita. Un importatore statunitense o europeo potrebbe quindi cercare di diversificare il suo rischio, adottando una strategia "Cina-più-uno" o "Cina-più-due", diversificando e distribuendo la produzione anche al di fuori della Cina, senza abbandonarla completamente.

Dalla prospettiva cinese, la preoccupazione principale è migliorare la trasparenza e la resilienza della catena di approvvigionamento, garantendo ai partner commerciali che la diversificazione del rischio possa essere ottenuta all’interno della Cina stessa. La Repubblica Popolare non soltanto può servire la logistica globale attraverso i collegamenti marittimi, ma può anche offrire collegamenti ferroviari intercontinentali alternativi.

 

Come vede il ruolo della Belt and Road Initiative (BRI) nell’ambito della ripresa della catena di approvvigionamento, nel momento in cui entreremo in un periodo più stabile post COVID-19?

Attualmente, alcuni progetti relativi alla BRI hanno portato a determinati ‘contraccolpi’ in paesi ospitanti, a causa dell’assenza di localizzazione dei progetti, di una limitata preparazione progettuale, di una limitata due diligence indipendente e di preoccupazioni legate a livelli di indebitamento crescenti. Non sorprende che alcuni ritengano fondamentale e urgente risolvere alcuni di questi problemi. Tuttavia, in altre occasioni, la BRI ha dimostrato di essere in grado di sviluppare infrastrutture e competenze preziose.

Dal punto di vista della Cina, è stata dimostrata l'ambizione di supportare la digitalizzazione delle catene di approvvigionamento, soprattutto attraverso la tecnologia della blockchain. Questo processo è stato accelerato dalla crisi COVID-19, ed è ragionevole aspettarsi una crescente integrazione di queste tecnologie digitali, blockchain inclusa, all'interno della Belt and Road Initiative.

 

Quale scenario post Covid porterebbe al recupero dello slancio commerciale?

Ciò che si vedrà in futuro è una localizzazione di alcune catene di approvvigionamento, e la consapevolezza che produrre merci in Cina per poi spedirle attraverso la rotta transpacifica non è necessariamente la modalità più efficiente. È difficile sapere, nella fase attuale, quanto questa tendenza sarà diffusa o significativa.

Vedo le aziende adottare sempre più una strategia "Cina-più-uno" o "Cina-più-due", che può coinvolgere Paesi come il Vietnam o il Bangladesh, per produzioni a basso costo come quelle del comparto tessile e dell'abbigliamento.

Un recente sondaggio, condotto negli Stati Uniti, ha rivelato che i consumatori sarebbero disposti a pagare prezzi più elevati per prodotti che non sono stati fabbricati in Cina. Ciò non significa che non possano essere prodotti in Vietnam o altrove. Né dovremmo dedurre troppo dai sondaggi, in una fase così fluida.

Nondimeno, i fenomeni di ‘reshoring’ e ‘near-shoring’ sono fortemente influenzati e in molti casi abilitati dagli sviluppi tecnologici, parte dell'‘Industria 4.0’. Abbiamo già visto queste dinamiche in azione nel settore della moda di fascia alta nel Regno Unito, dove diversi accessori vengono oggi nuovamente realizzati localmente. Negli Stati Uniti, abbiamo visto come, sfruttando le nuove tecnologie di modellazione e manifattura additiva, grandi case automobilistiche hanno convertito parte della produzione, e collaborato con i produttori di attrezzature mediche per rendere disponibili ventilatori polmonari ed altri componenti vitali per fronteggiare l'emergenza sanitaria COVID-19.

 

 

L'intervista è divisa in due parti. Leggi la seconda parte.